lunedì 30 dicembre 2013

Mi sono visto di spalle che partivo


Non sono bravo a fare bilanci, io.
Nemmeno gli esami di coscienza.
Il problema è che mi sconto le parti peggiori e cerco sempre di raccontarmela positiva. E non è solo ottimismo o sindrome di Pollyanna. È proprio che sminuisco le parti dove sono stato lacunoso a beneficio di quelle dove sono stato bravo.
Culturalmente credo che derivi dagli studi classici fatti su pellicole come Rocky, Rambo, Fuga per la Vittoria. Dove il buono mica sempre vince ma, voglio dire, rimane comunque buono, no?
A scuola, soprattutto al liceo, questo era un problema perché io pensavo che un sette, preso una volta ogni tanto, bastasse anche ai professori per capire che io ce la stavo mettendo tutta. Invece loro pensavano che io ero uno con delle buone capacità che però solo raramente tiravo fuori.
Incomunicabilità.

Ma ero partito dai bilanci e dal fatto che non li so fare.
Avrei millemilaequatrenta ragioni per dire che il 2013 è stato un anno favoloso e almeno altrettante per dire che è stato di merda. Ma io non ho tanta voglia di metterle insieme: alcuni mali non si compensano con certi beni e, fortunatamente, alcune cose belle non vengono scalfite nemmeno dai peggiori mali.
Io fino ad oggi sono stato una persona molto fortunata. Lo sono stato al punto che, se è vero che la fortuna bisogna sapersela costruire, non mi è costato nemmeno fatica costruirmela.
Ho un sacco di persone a cui voler bene e perfino alcuni amici.
C'è un proverbio africano che recita: “Ogni persona deve avere almeno quattro amici, quanti ne serviranno per trasportarlo e seppellirlo”.
Molti di voi saranno corsi in cerca di ferro da toccare ma non è un proverbio negativo. È un ottimo modo per fare dei bilanci: avrei paura di morire domani ma almeno so che non sarei solo. E quasi mi spaventa pensare che forse “dopo” non c'è nulla proprio per non godermi il funerale. E così a volte penso che continuo a sperare in un “dopo” solo perché mi atterrisce pensare che non ci sia.

Non sono discorsi da Feste, questi.
Ma nemmeno i funerali lo sono ed invece sono andato ad uno proprio la viglia. Magari ne parlerò.

Ed ora la pianto perché non sapevo cosa scrivere e sono andato per libere associazioni e mi sono immalinconito più di quello che avrei voluto.
Vi auguro buon anno con questa foto, che a me fa pensare alla speranza. Nonostante tutto io continuo ad averne tanta. 



ah, se ve lo foste persi, la scorsa settimana è uscito anche questo

giovedì 19 dicembre 2013

Letterina

A chi la intesto, giovinotto?
Perché pare che Babbo Natale non esista e, pure se esistesse al massimo è uno che lo devi pagare per i regali: Mamma e Papà lavorano per prendere i soldi da dare a Babbo Natale per i regali. Colpa di Monti e della sua tracciabilità dei flussi, anche il panzone finnico ha dovuto aprire partita IVA.
Ricordo che da bambino Babbo Natale era visto un po' come Halloween ora, no? Una minaccia alla cultura cattolica.
Infatti una volta una catechista mi disse che non era vero che i regali li porta Babbo Natale ma Gesù Bambino ed anche la lettera andava intestata a lui. Brava! Non basta raccontare una palla ai bimbi, è pure necessario che si commetta il reato di sfruttamento del lavoro minorile.

Tant'è.
Io oggi non sono in ferie ma sto già investendo la settimana prossima di molte più responsabilità di quello che sarà lecito aspettarsi. La metto come lista da esaudire in ordine sparso da parte di Babbo, Gesù o chi ne fa le veci.
Vorrei correre, ma tanto tanto, al mattino presto, col buio ed il ghiaccio per terra.
Mi piacerebbe riuscire ad invitare a cena o a pranzo tutti gli amici, soprattutto quelli che non ci invitano mai o quelli che vediamo poco per lontananza. È dura perché gli incroci degli impegni sono sempre difficili, ma ci possiamo provare. Per gli altri abbiate fede, non siete meno amati, solo più comprensivi.
Dovrò suonare ed è il dovere più bello. 
Vorrei coccole da morirci, da parte di Silver e dei bimbi.
Vorrei leggere fino ad addormentarmi sul divano, anche alle tre del pomeriggio, che farlo alla sera ci sono già riuscito fino a qui.
Vorrei vedere dei bei film, nuovi, con DVD prestati che non ho mai imparato a scaricarmi i film da emule.
Voglio il sole per passeggiare sotto la collina dopo ogni pranzo con i piccoli in bici e noi a corrergli dietro perché non cadano nel fiume.
Mi piacerebbe non ricevere regali, solo un biglietto con scritto: andate a mangiarvi una pizza, stasera con i bimbi ci gioco io. 
Chiedo che i pensieri per il lavoro siano dimenticati od elaborati come una fortuna che almeno un lavoro c'è ancora. 
Prego per la salute degli amici, quelli che stanno male, in particolare, che magari leggono e si riconoscono e spero che sentirsi ricordati li faccia stare bene.

E per me basta. Grazie

Se non ci sentiamo prima, Buon Natale a tutti in qualsiasi modo decidiate di festeggiarlo o non festeggiarlo. 




martedì 17 dicembre 2013

A Natale sarò più buono. Forse


Che poi dici che il Natale dovrebbe rendere più buoni. Eccerto, trattasi di calo di tensione.

Perché le settimane precedenti sono teribbili.

C'è la recita, il canto della stella, le prove del concerto, le prove per la messa, i regali per i parenti fino al quarto grado.

Pare facile, pare.

Invece è difficile.

Metti che devi trasmettere ai bimbi tutto l'amore e la bontà consona al Natale il giorno della recita, ok? Li fai mangiare un'ora prima, a forza, sennò non mangiano perché non possono avere fame alle 11,30 se hanno finito colazione alle 9.

Li metti a letto; siccome non dormono ti sdrai con loro e ti parte il pisolo. Ti svegli tardi e devi fare in un quarto d'ora quello che avevi programmato in due ore.

I bimbi chiaramente vedono che sei agitato e vulnerabile. E no, non ti aiutano... così li cazzi, li insegui, urli.

In settimana poi c'è la stella da cantare pro asilo (che dico, io c'ho lasciato tutto il mio stipendio per due anni al nido, ma davvero mi devo sentire in colpa se non vado alla stella?). Si parte alle 7. Alle setteeeee???

Ma come faccio se lavoro fino alle 6?

Li ingozzi, loro tirano indietro e allora li cazzi, li insegui li minacci coi regali farlocchi, ecc, ecc.

li imbottisci che manco un panzerotto calabrese: pigiamo sotto, tuta sopra, maglione, giubbotto, passamontagna, guanti (un po' larghi). Per corpire tutto il giubbino catarifrangente della Ford, che per strada non si sa mai. Jack, che per non perdere i guanti cammina con mani benedicenti, sembra Angelo Roncalli ai tempi del Patriarcato di Venezia. Ci si aspettava che, da un momento all'altro, invece che “Buon Natale” proferisse un “Quando rientrate in casa date una carezza ai vostri bambini”. 
La sera dopo, per non indurlo a precoci crisi mistico-religiose, passamontagna modello guerrigliero zapatista.  

In tutto questo c'è da comprare i regali. Per fortuna c'è internet.

Sapete come funziona internet per gli acquisti, no? Beh, ve lo spiego per sicurezza: andate su un sito di acquisti online, digitate ciò che cercate, ne trovate un migliaio di pezzi, ognuno con un prezzo diverso. Esempio: la macchina per fare le balle di fieno; giocattolo, chiaramente. Ce n'è una, di una sola marca. Ma la vendono in duemila venditori, da 12 euro fino al milione e mezzo, ottocento opzioni per la spedizione. Se non avete tempo non vi avventurate sui commenti degli acquirenti, un unico commento negativo vi farà passare intere giornate d'ansia. “Non c'era la balla”. Che balle.

Vabbè ma il negozio online è comunque comodo, soprattutto se scopri che il più economico di tutti si trova ad un chilometro da casa tua e te lo puoi tranquillamente andare a prendere di persona.

Insomma è tutto un corri corri, fuggi fuggi. In mezzo a questo un miliardo di persone che caga anche un po' il cazzo. Mi si perdoni il francesismo.

Ma è la magia del Natale ed il Natale, si sa, ha questo sapore, come dire... di bile. 

 "Hasta la Clara Estrella. Siempre"

martedì 10 dicembre 2013

Il popolo dei porconi


Il porcone è un modo affettuoso per definire la bestemmia in veneto. E ditemi voi se non vi verrebbe da dirne qualcuna, bloccati in autostrada. 
 
Ci sarebbero parecchie cose da dire sulla protesta dei Forconi, ma non mi sento molto titolato a farlo.
Mi piacciono le manifestazioni e la piazza mi gasa molto ma preferisco l'approccio pacifista, che non significa arrendevole e remissivo.
Soprattutto preferisco la coreografia di un flash mob al disagio, l'arte al dileggio anche se certi sfottò sono arte, se vogliamo.
Ricordo, tantissimi anni fa, mi pare fosse il 1991, una Piazza dei Signori colma di studenti, un tizio con i capelli biondi e lunghi che bazzicava per il mio paese (e che pensavo avesse molti ma molti più anni di me) aveva in mano un megafono e proponeva riflessioni contro l'attacco militare all'Iraq. Ad un certo punto ha chiesto a tutti di sedersi per terra e siamo stati lì un pezzo. Un tizio con la chitarra ha intonato qualcosa, non ricordo, forse Imagine... ma non si sentiva molto. Sarà che avevo sedici anni ma quella volta mi sono commosso.
Poi, anni dopo, tornando in treno da Padova ci hanno fermato in mezzo alle campagne. Erano quelli del presidio di Vancimuglio, i Cobas del latte. Mi giravano le balle ad elica perché ero corso via da lezione per andare a lavorare ed ora questi imbecilli mi facevano arrivare tardi. Un tizio ha aperto il finestrino e ha detto: “Bravi, io mi prendo parole dal capo così poi oltre a lui avete contro anche me”.
Oltretutto molti dicevano che avevano ben poco da protestare, visto che sapevano di essere fuori regola con le quote latte. Va ben ma non c'entra. Mi sarebbero girate le balle anche se il motivo fosse stato legittimo, se ne andassero a protestare da chi di dovere...
Ancora guerra, 2001/2002. Ricordo molte fiaccolate, in paese, in città... Un freddo cane ma un'idea di coppia, la candela in una mano e la mano di Silver nell'altra.
E la grande stagione del “No Dal Molin”, persa, come tutte le altre volte, a guardare quegli orribili palazzi che hanno costruito, ma vinta nel cuore, per la musica e le parole ascoltate, per le persone incontrate, per la soddisfazione di aver comunque detto di no, in modo pacifico.

Ora sono spuntati i forconi.
A pelle mi stanno antipatici perché fanno poco con chi potrebbe fare e scaricano il disagio solo sugli altri, quelli che starebbero già a posto così. Poi li appoggia la Lega.
Tempo fa però dissi che questa cosa dello stipendio dei parlamentari era una cazzata che non avrebbe risolto nulla ma che, a conti fatti, poteva essere un bel gesto per evitare di fare la fine della rivoluzione francese, dove ad un certo punto la gente esasperata ed affamata è uscita in strada con il forcone.
Quella volta partirono dalla testa del Re, prima di degenerare ed andare “a fatto”, come diciamo in veneto, con quelle di tutti gli altri.
Si vede che stavolta vogliono provare a prenderla dall'altra parte.
Però non mi convince, chi lascia la via vecchia per la nuova...

venerdì 6 dicembre 2013

Chiedilo ad una ragazza di 15 anni di età


tu chiedi chi erano i Beatles e lei ti risponderà... ...la ragazzina bellina col suo sguardo garbato, gli occhiali e con la vocina

Ma che cazzo di quindicenni conosce il mio omonimo leader degli Stadio?
Posto che ormai la ragazzina potrebbe essere prossima alla menopausa... no, forse esagero.
Io ho una nipote di 15 anni ed è oggettivamente carina (si coglie una somiglianza con la prima Kirsten Dunst, mica pizza e fichi), ma non ha la vocina, non ha lo sguardo garbato e non ha la treccina.
È un femenòn di quasi un metro e ottanta con una criniera di capelli biondi e crespi che non pettina praticamente mai.
Io le voglio un bene dell'anima. Arrivata prima che potessimo essere genitori (anche se i suoi sono, ad onor del vero, miei coetanei), è la bambina che abbiamo tutti viziato, la prima che abbiamo portato alle giostre, al cinema, in piscina. Quella per cui abbiamo imparato a scolpire i palloncini, a giocolare con le arance.
Mi fa un certo effetto che entri in casa mia senza bussare, saluti in modo un po' scontroso ma poi giochi con i piccoli e prima di uscire mi chieda se ho un libro da prestarle o qualche DVD fico.
Ancora più effetto mi fa che abbia iniziato a prestarmeli lei. Ha disegnato il titolo del mio blog, anche.

Ma non volevo parlare di mia nipote. Volevo parlare di Mandela.
Stamattina su facebook c'era un dibattito su quali saranno i Mandela dei nostri figli, che pare non ce ne siano.
Ma ho avuto un rigurgito di speranza e credo che non sia vero.
Pur ammettendo che i tempi erano diversi e la comunicazione un minimo meno immediata, credo che mio nonno non sapesse chi fosse Mandela.
Forse trent'anni fa non lo sapeva neppure mio padre.
Voglio dire: magari i Mandela di ora non ci vengono in mente, però ci sono. 
E allora mi sforzo e penso ad Aung San Suu Kyi (che ho scritto il nome quasi giusto al primo colpo), a Rigoberta Menchu, per dire quelle famose.
Penso a Suor Fausta, che mi ha insegnato all'asilo e che da trent'anni soffre in Guatemala.
Penso ai padri Gianni, Maurizio, John, Bruno e Mario che in Sierra Leone sono stati picchiati e torturati dai ribelli del RUF ed anche dai mercenari assoldati dal governo, ma sono rimasti lì, a prendersi la malaria, ad accorciare le messe per costruire pozzi nei villaggi e quando te lo raccontano, ancora gli scappa di far brillare gli occhi d'amore. 
 
Credo che il miglior omaggio che possiamo fare a Nelson Mandela sia ricordare ai nostri figli chi era. E raccontare anche che ce ne sono tanti, di Mandela, e che non tutti è necessario conoscere ma non per questo li dobbiamo dimenticare.
 
Buon viaggio Madiba

martedì 3 dicembre 2013

Quando è la pancia che ti parla


C'è stato un tempo in cui il detto “Parlare alla pancia delle persone” era non solo molto utilizzato ma addirittura usato con accezione positiva. Superlativamente positiva, oserei dire, in qualsiasi campo la si usi.
Quel cantante arriva al suo pubblico, parla alla pancia della gente”
La Lega la votano in tanti perché parla alla pancia della gente come una volta faceva il comunismo, che ora è snob”.
Due esempi molto diversi, chiaramente ai quali, però, la mia pancia risponde sempre allo stesso modo: “mi spingi ad un singhiozzo o ad un rutto” cantava il vecchio Francescone che per decenza o per metrica ometteva la terza risposta, quella in direzione (ostinata e) contraria.
Capite? Nemmeno al cuore, alla pancia proprio.

Voglio dire: è chiaro che parlare alla pancia della gente significa capirla, farla sentire inclusa. Mi chiedo però quanto non sia responsabilità di ciascuno di cercare di elevare, ogni tanto, il livello provando a lasciare alla pancia il suo ruolo naturale.

Pensiamo ai nostri figli, ad esempio: loro la pancia la sanno ascoltare eccome. Hanno fame, hanno sete, gli scappa da cagare. (autogrill) (oggi sono in vena di cazzate, e dire che il post vorrebbe essere serio).
Però noi gli chiediamo di aspettare l'ora di cena, di finire la pasta prima di andare in bagno, di non reagire con un manrovescio ad un'offesa (“tu non hai il pippo”, o “tra i cattivi degli Avengers ce n'è uno che si chiama come te”)
E quotidianamente ci sforziamo di governare la nostra pancia nel non reagire alle provocazioni quando sono molto stanchi, di provare ad abbracciarli e rassicurarli che li amiamo quando ci danno i calci, fanno i capricci, ci respingono magari riscuotendo, a dispetto di ogni previsione, un bacio tardivo, prima di andare a dormire.
Ed è faticoso, certo, soprattutto a casa, soprattutto con le persone più care, quelle in presenza delle quali ci togliamo le scarpe, nonostante l'amore, nonostante l'età.
Eppure sappiamo che dobbiamo provarci e tentiamo con i figli quello che non siamo mai riusciti a fare con i genitori.
E allora, dico, ma per coerenza non potremmo cercare di non dare troppo peso alla nostra pancia anche nella quotidianità?
Non potremmo fare obiezione di coscienza verso le pubblicità stupide, i discorsi stupidi, il razzismo, il maschilismo, la pochezza culturale quotidiana?
In fondo non siamo tutti convinti che è con la coerenza e l'esempio che si educano i bambini?
Educhiamoli ad un linguaggio di cuore e cervello lasciandoci permeare solo da ciò che parla a cuore e cervello.
A me i discorsi alla pancia entrano da un orecchio ed escono... scusate, devo proprio correre. 

In ogni lavoro di brainstorming c'è il tipo che fa l'intervento scemo. Di solito sono io. Lo faccio anche nel blogstorming di GenitoriCrescono 

venerdì 29 novembre 2013

Oggi non lavoro, oggi non mi vesto

Ogni tanto mi prendono dei giorni in cui non so proprio cosa scrivere.
Oppure ho un'idea e non riesco a lavorarci, perché manca il tempo o l'ispirazione.
Così guardo il file dove mi annoto le idee e lo vedo di giorno in giorno spuntare le voci annotate e mi prende un senso di velata ansia (molto velata, ndr)
Oggi sono stato fuori tutto il giorno, ad un convegno e non ho avuto molto tempo. Ora è dura far stare un post in una pausa caffè.
Ho però notato che ai convegni del sociale il bagno dei maschi è quasi sempre libero. Una delle positive implicazioni di lavorare praticamene solo con donne.

Va ben. Volevo parlare del dissenso.
Suona male, no?
Mi rendo conto che invecchiando sto diventando un rompicoglioni, un bastian contrario.
Provate a prendere un bastian contrario e fategli capire che dissentire è sconveniente. Cosa farà, lui, secondo voi?

Indovinato.
Infatti a me sta in punta il non dover dissentire, ok?
Si tratti di qualsiasi cosa. Non faccio esempi, non ho molto tempo.
Se vi va usate i commenti per lanciare la vostra personale campagna di dissenso.
Magari ne uscirà un post... un giorno in cui avrò avuto più tempo.
Buon week end a tutti.

mercoledì 27 novembre 2013

Ogni merda ha il suo profumo


sottotitolo: perché se i trattasse solo di rose e spine ci andrebbe ancora bene. 

attenzione, post dai contenuti duri, si sconsiglia la lettura ai deboli di stomaco.

Il bagno vicino all'ufficio ha problemi, come dire? Di reflusso?
Non so se si può usare reflusso per questi casi; pensare che mio padre, di suo, non solo è idraulico ma insegnava pure, agli aspiranti idraulici. Io non c'ho mai capito un tubo (ah ah, la bellezza dell'humor vintage)
Va ben, ma non si voleva parlare della mia ascendenza idraulica ma del bagno vicino al mio ufficio e dei suoi problemi.
Di base non è intasato, ok?
Voi entrate e lo vedete pulitissimo. Il problema è, pare, che le fogne del circondario abbiano alcune difficoltà ad accogliere le deiezioni del quartiere.
Un'altra teoria dice che il mare, quando soffia grosso rimanda al mittente i pacchi regalo.
Qualcuno pensa che sia tutto un disegno massonico per comunicare in codice.
Altri sono convinti che sia colpa degli alieni.

Non so. Sia chiunque sia, caga cose terrificanti, a giudicare dall'odore.
Perché quello è il problema: ogni volta che cambia il tempo lavoriamo immersi in un odore terribile e nauseabondo.
Dice Silver, che è donna di scienza, che l'olfatto è dei cinque fratelli, il senso che più di tutti si sa adattare rapidamente.
Guarda te: io pensavo che volesse dire che, ad un certo punto ci abituiamo all'odoraccio al punto che non lo sentiamo più, come chi abita vicino ai binari che non si sveglia se passa il treno di notte, invece a me è successa un'altra cosa: ho imparato a conoscere l'odore. 
 
Così in ciò che mi rimanda indietro la fogna io distinguo il profumo di ciò che abbiamo mangiato in mensa il giorno prima, la qualità della carne grigliata a pranzo e perfino gli ingredienti della pizza settimanale.
Questa affinata abilità me la porto anche a casa. 
Devo dire, però, che poi ogni bagno ci mette il proprio personalissimo tocco di chef dando a ciascun odore una particolarità che in altri bagni non si trova.

Il lato grunge di tutto ciò è che se impari a riconoscere il profumo che c'è dentro alla merda, ti viene fame, perché di volta il volta mangeresti la pizza, la peperonata o la salsiccia al forno.

Ed ho pensato che il detto "Ogni rosa ha le sue spine" rischia di fuorviarci. Nella vita di molti ci sono pochissime rose e molta molta merda. Ma forse è proprio nella capacità di riuscire a riconoscerne quei vaghi profumi che troviamo il motivo del nostro alzarci ogni mattina.

venerdì 22 novembre 2013

Ricattoterapia


Alzi la mano chi non ha mai usato un regalo come ricatto per ottenere un risultato con un figlio.
Così il Natale diventa leva educativa; ben venga, dunque, che al due di novembre ci siano già gli addobbi al supermercato: è l'onda lunga del comportamentismo.
 
Si lo so, non si fa.
 
Il bimbo dovrebbe essere intrinsecamente motivato a mangiare, a lavarsi, a dormire, ad essere bravo a scuola, a riordinare casa a prendersi cura dei suoi vecchi quando un giorno saranno dei piscioni allettati capendone il senso profondo, l'utilità personale e sociale. E non estrinsecamente, con un rinforzo esterno come un gelato, un john deere giocattolo, l'eredità.
Ma non facciamo i verginelli, ok?
Scappa di farlo. Come scappa il cazziatone quando sei più esaurito del solito e lo scapaccione quando proprio te lo levano dalle mani (anche se sempre meno, devo dire, bravo Gae).
È successo un fatto però che mi ha spinto a riconsiderare il ricatto rinforzo come qualcosa che possa servire allo scopo: ottenere il risultato insperato. 
 
I miei figli hanno saputo dai nonni che Babbo Natale porta il carbone ai bimbi cattivi (rinunciate all'idea di convincere i nonni che non si fa. Rinunciate all'idea di convincere i nonni di qualsiasi cosa, ok?)

Un giorno, in macchina, Pee era in preda a crisi capricciosa convulsiva, si è sganciato dal seggiolino e se n'è uscito con un “Io voglio il carbone” che è un po' come dire " provateci, se avete il coraggio".
Accecato dall'ira sono sceso e, legandolo di nuovo, gli ho detto incazzatissimo che lui era ancora troppo cattivo per meritare il carbone e che al massimo poteva sperare in un po' di cacca di renna. 
Secca.
La situazione è improvvisamente cambiata. Tutti hanno iniziato a ridere ed anche Pee ha cambiato completamente registro.
Cosa voglio dire? 
Non sempre la minaccia deve servire a minacciare, può anche essere una specie di gioco che “dis'cioca”, diciamo noi, ovvero fa pensare ad altro e consente di uscire da una situazione di muro contro muro. a la a la
Se avete letto fino a qui e vi sembra la scoperta dell'acqua calda, per evitare che vogliate indietro i soldi, vi elenco alcuni regali farlocchi con i quali ricattare i vostri figli in vista del Natale.

  1. Mutande e calzini (diciamolo una volta per tutte, hanno sempre fatto cagare anche a noi)
  2. Il cicciobello bua, per lui, se vuole un trattore
  3. Il trattore, per lei, se vuole il cicciobello bua
  4. La Barbie con il culo grosso
  5. Il trattore senza una ruota
  6. Il carbone, quello vero, della stufa dei nonni
  7. Cioccolatini preciucciati
  8. Caramelle gusto minestra di verdura
  9. La cacca di renna secca.
  10. Un barattolo con le scorregge delle renne: tu lo apri, fa prr, un po' di puzza e poi basta.

mercoledì 20 novembre 2013

Rage against the Recita


Io credo di essere una persona mediamente snob con dei picchi decisi verso il molto snob. 
Uno di questi picchi arriva in prossimità del Natale quando tutto il mondo entusiasta pare non attendere altro che la possibilità di organizzare le attività dell'asilo; 
il carro per andare a cantare la stella, il canto della stella, i regali per le maestre, i biglietti di auguri, i lavoretti per la bancarella, le scenografie per lo spettacolo dei bambini, lo spettacolo dei genitori.
Ognuna di questa attività richiede almeno due serate.
Conto veloce?
12 serate. Una più una meno.
Nessuno ci costringe ad andare, sia chiaro e, se andiamo, lo facciamo volentieri. Raramente, ad essere onesti, perché non sempre si riesce a portarsi i bimbi e il tempo che si passa assieme è davvero poco già così. Però non ci piace delegare e basta.E molti di quelli che ci vanno sono nostri cari amici. 
Insomma, non volevo parlare di questo ma un incoraggiamento a chi tira la carretta è doveroso.

La cosa di cui non capisco l'esigenza però, e adesso mi sforzo davvero di non essere snob, è una sola: la recita dei genitori.
Perché serve una recita per i genitori? Sono aperto al confronto di idee, sul serio. Se mi convincete ci vado

Scorrendo i pro e contro o trovato i due seguenti pro:
  • I bambini si divertono a vedere i genitori che fanno gli scemi.
  • È occasione di aggregazione tra genitori, che non fa mai male
I contro invece sono un po' di più:
  • Avendo poco tempo il prodotto finito non è mai di qualità
  • Non essendo coordinato da qualcuno che lo sappia fare, si rischia di lasciare troppo spazio alle manie di protagonismo di qualcuno
  • Allunga uno spettacolo che, di per sé, sarebbe già a posto così
  • Ma soprattutto, e lo dico con forza: lo spettacolo di Natale, con tutti i limiti che può avere, è un momento dei bambini.

Dico, i nostri figli avranno già un sacco di problemi a crescere, il lavoro, che è già poco per noi sarà probabilmente ancora meno per loro, faranno sempre più fatica ad emanciparsi dalle figure genitoriali (un po' per cultura ed un po' per necessità), hanno davvero bisogno che ci mettiamo in mezzo anche in qualcosa che dovrebbe essere loro e solo loro? 
È utile che i nonni, alla sera, gli ricordino quanto divertenti sono stati gli sketch di mamma e papà (ammesso che lo siano stati) e poi, con quell'aria assolutamente falsa e sgamabilissima da “si amore anche tu sei bello” dicano che è piaciuto anche il loro piccolo ed imbarazzato canto di Natale?
E non sarebbe invece importante semplicemente lodarli per essere riusciti a non piangere? O consolarli se invece hanno pianto?
Per poi bersi una cioccolata calda tutti assieme, riportando tutto la dimensione che merita.

L'aggregazione tra mamme e papà è importante ma si può fare in mille altri modi. Ed i bimbi si divertono anche se balli sul divano assiema a loro, la sera, prima di dormire.

lunedì 18 novembre 2013

Fratelli: Coltelli

Ieri sera, guardando Dexter, quel gran genio di mia moglie, che nel frattempo pure stirava, se n'è uscita con una chicca: "Certo che Debra Morgan sarebbe anche una gran detective, solo che suo fratello le ammazza tutti i colpevoli e li catafotte in fondo al mare prima che lei riesca a prenderli".
"Caspita, è vero!" sono caduto io dal pero (notasi rima in stile papiro di laurea).

Così mi è venuto in mente che qualche tempo fa avevo sgureggiato un po' sull'ingombro dei padri ed ho pensato che non è così tanto diversa la situazione con i fratelli.
Anzi, è forse addirittura peggiore.
Io lo so sulla mia pelle, anche se il primogenito, di per sé parte avvantaggiato: può imparare un po' prima qualsiasi cosa e questo è un po' come gareggiare sui 100 metri piani partendo dalla linea degli 80. Quindi forse è giusto dire che lo so sulla pelle dei miei fratelli, poveri. Anche se, mi devono dare atto, ho fatto di tutto per non far sentire il peso del mio genio assoluto: mi sono fatto bocciare a scuola, mi sono ritirato dal calcio nell'anno in cui giocavo meglio, ho sempre preferito Kenshiro ad un'ora di chitarra, ho scolpito i miei addominali con terrificanti sedute di poenta e luganega
Infatti mio fratello suona decisamente meglio di me. E mia sorella è addirittura diplomata in conservatorio.
Ma non parliamo di me.

È chiaro che avere dei fratelli ti mette di fronte a dei modelli e ti costringe ad un inevitabile confronto. Bene o male è inevitabile che pure noi genitori finiamo per fare dei confronti.
Credo che crescere conosciuto come "il fratello di" sia frustrante e doloroso.

Con i miei figli spero sempre di riuscire a farlo solo nella mia testa, senza metterli involontariamente in competizione.
A volte mi auguro che nessuno di loro tre sia nulla più che un normalissimo bambino. O addirittura preferirei che fossero tre somari piuttosto che uno solo di loro dovesse scontrarsi con i risultati dell'altro.
Insomma, non vorrei essere il padre dei fratelli Knopfler, di uno dei quali si son perse le tracce.
Preferirei di gran lunga avere Malcom e Angus, il primo dei quali, dicono i bene informati, per amore di un progetto ha mandato avanti il meno dotato ma più istrionico fratello scegliendo di starsene dietro, a farsi il mazzo per tutti.
Se non è amore fraterno questo



venerdì 15 novembre 2013

Protocollo EST


Ogni tanto pure a me viene il lampo di gegno.
Nei giorni scorsi, passando a salutare Mafalda sul suo blog, mi veniva in mente che sarebbe utile che l'umanità facesse, di tanto in tanto, un salto in avanti, tipo il DNA degli X-Men.
Il succo del mio pensiero vi potrà sembrare poco economico, così, su due piedi, e forse anche un po' complesso, ma vi invito a valutare gli effetti a lungo termine della proposta.
Ma sono sicuro che, una volta metabolizzato il cambiamento, non riuscirete a fare a meno di pensare che la qualità della vostra vita è decisamente migliorata.

Il protocollo EST
Si tratta di un semplicissimo obbligo di legge che prevede di apporre, su qualsiasi cosa, la dicitura EST qualora il tempo sia l'unica soluzione.
EST è infatti l'acronimo di È Solo questione di Tempo. Si potrebbe anche mettere ESQT ma capite anche voi che vi si svita la lingua solo a cercare di pronunciarlo.
Quindi si potrebbe mettere su tutte le preoccupazioni rispetto alla crescita dei bimbi, no? Il mio non cammina ancora sicuro mentre il tuo, che è nato due giorni dopo, ha iniziato ieri a muovere i primi passetti.
La mia si ciuccia il dito spasmodicamente, ha otto mesi e temo che a 18 anni ancora starà lì a succhiare.
Piove, governo ladro, i bimbi andranno sicuramente in tilt, oddio, no non è il caso di far loro vedere la tv, non concedo mai la tv più di dieci minuti al giorno, sto in ansia.
Dormono in mezzo, oddio, ma sarà letale il co-sleeping? No non posso riportarli nel loro letto perché non mi accorgono che vengono, allora metti la sveglia ogni ora e svegliati anche se non vengono nel tuo letto.
La vecchia del piano di sotto rompe? È vecchia.
Berlusconi al governo.... beh, ogni teoria ha le sue brave eccezioni.

Non è semplice? Non vi sentite rassicurati nel sapere che la maggior parte di queste cose, e tante altre ancora, si risolveranno senza particolari interventi da parte vostra?
Non sentite che il vostro naturale stress esistenziale è già diminuito?
Dai, è sufficiente un'etichetta sulla scatola. 

Chiaro: una volta capito come fare a mettere tutto in delle scatole. 

Questo post, abbastanza inutile, partecipa comunque al Blogstorming di Genitori Crescono

E se non vi fosse bastato, oggi mi trovate anche qui   
 

lunedì 11 novembre 2013

Il Miracolo di Elephant Man


La settimana scorsa ha fatto il giro del web questa immagine, apparsa su Repubblica.it con il titolo “Il Papa bacia le piaghe di un malato”. 
Da Republica.it

In realtà, come qualcuno ha poi fatto notare ai redattori, non si tratta di piaghe ma di fibromi, ma non è su queste differenze, pur importanti, che mi voglio concentrare.
L'immagine, come a tutti, credo, mi ha fatto piuttosto impressione; come si può vivere con il corpo sfigurato da lesioni come quelle?
E poi tutte le domande: è contagioso? Può capitare anche a me? E se capitasse ai miei figli?
Molto spesso è sufficiente un minimo di informazione per trovare le risposte, ma le domande, a caldo, sono sempre quelle. Ditemi che non è vero e vi crederò. Ma io mi faccio sempre quelle domande lì.
E Bergoglio invece che fa? Probabilmente si sente come Antony Hopkins su "The Elephant Man”, la prima volta che vede Joseph Merrick: lo vede, ne prova una pena infinita ed una lacrima gli scende sul viso.
E contrariamente a tutto quello che l'istinto gli suggerisce, scende dalla macchina e se lo va ad abbracciare.

Così, nei giorni successivi, mi perdevo, correndo, a pensare ai miracoli. “Cazzo, sarebbe proprio bello che quel tipo lì, il giorno dopo, si svegliasse senza più fibromi, la pelle liscia come quella di un bambino, le mani morbide, il cuore libero”.
In fondo manca solo questo a Papa Francesco, no? La capacità di guarire imponendo le mani, come fanno i santi veri, quelli con il bollino ISO 9001.
E così, tra l'acido ed il sarcastico, mi rinforzavo nella mia idea che Dio, nel quale credo, in fondo arrivi fino a lì, e che, pure a lui, ci siano cose che sfuggono e che non gli riescono come avrebbe voluto.

Poi, verso Venerdì una mia collega, atea, anticlericale mi fa: “Te lo ricordi V? (non c'è bisogno d'altro, V ce lo ricordiamo tutti, aveva proprio quella malattia della foto ed è stato qui parecchi anni fa). È stato in udienza dal Papa”.
Così abbiamo riaperto le foto, e si, in effetti.
Credo che un abbraccio così, quel ragazzo, non lo avesse mai ricevuto in vita sua”. Ha detto lei.
Si, è vero” ho detto io.
Ed andando a casa ho pensato che forse il miracolo più grande è sempre e comunque l'amore, no?
Possiamo pensare che arrivi da Dio o da una persona, ma sempre un miracolo è. A me lo ha fatto capire una collega atea. 
E magari, azzardo, potremmo inventare la macchina del tempo e tornare da Gesù e scoprire, che nemmeno lui i lebbrosi li guariva ma semplicemente li abbracciava. 
E scoprire anche che, forse, a volte è più difficile che guarirli.