giovedì 31 ottobre 2013

Ovosodo e The (o té) Verde


Ho come un Ovosodo, che non va ne su ne giù”

Così il mio coetaneo Piero Mansani, descriveva il magone alla notizia della futura paternità.
Non l'avevo mai capita tanto quella battuta, non nel 1997, almeno quando vidi per la prima volta il film.
Ricordo che non ero potuto andare al cinema e, grazie ad un contatto carbonaro (mio padre), ero riuscito ad arrivare ad un VHS pirata che il proiezionista ricavava direttamente dalla pellicola. Un antesignano dei DVX con dei colori che, a confronto, una puntata di Derrick sembrava l'ultimo film della Pixar.
Ma non è di Ovosodo che volevo parlare, anche se è un film che ho amato nonostante fosse recitato così così. Che poi questo ha la Pandolfi che gli abitava sottocasa e si infiga della cugina romana depressa...
Però c'è il lieto fine che si tromba la Pandolfi. E se la sposa. Invece la depressa se la tromba e basta.
Qual'è la morale?
Non lo so. Se la trovate voi ditemela.
Ma, appunto, non si voleva parlare di ciò.

Volevo parlare di magone.
Parlavo qualche giorno fa con una collega di ansia, no?
Io sono uno che la maschera bene l'ansia. La totalità delle persone che conosco è convinta che io non sia mai in ansia. E non è vero, ok?
Io vado in ansia. Solo che non lo do a vedere. Mi viene appunto l'Ovosodo che non va ne su ne giù.
Come faccio a combatterlo? Mangio. Praticamente provo a soffocarlo. 
 
Ora, tempo fa, su internet, ho letto di questi miracoli per il dimagrimento che farebbe il The (o té) Verde, con le immancabili foto di una Platinette che è diventata Carla Bruni in dieci settimane; palesemente tarocche, oltretutto, che perfino Pee se si mettesse con Photoshop sarebbe in grado di essere meno pacchiano.
Vabbè, la settimana scorsa stavo facendo la spesa in solitaria (condizione necessaria per acquisti non indispensabili, che quando si va assieme ai bimbi ci si limita a fare come i Nocs: sincronizziamo gli orologi, fuori in 12 secondi, ok?) e su cosa ti butto l'occhio? Sulle compresse di The (o té) Verde. Effetti collaterali? Nessuno.
Ma investiamoli sulla salute sti cinque euri e novantacinque.  
Così ho messo la sveglia e le prendo un'ora prima di ogni pasto. 

Si, siete legittimati a dire che questa è la crisi dei 40 che incombono. 
 
Dovrebbero dare senso di sazietà, credo.
Praticamente ti sembra di avere un Ovosodo sulla bocca dello stomaco che non va ne su ne giù.
Potreste dirmi che è piuttosto fastidioso avere i sintomi dell'ansia quando vorresti solo dimagrire. Ma è vero solo in parte; anche perché io ho un metodo infallibile per sconfiggere l'ansia: la soffoco col cibo.

martedì 29 ottobre 2013

Du dudu duddu dudu du du du due


Giuro che alla prossima condivisione di Perfect Day su Facebook divento come Micheal Douglas in “Un giorno di ordinaria follia”. O “Basic instinct”, adesso decido.

La settimana scorsa, andando al lavoro per le sette e mezza, avevo sentito alla radio la notizia della morte di Zuzzurro. Mi aveva preso una pena strana per vari motivi, credo.
Il primo è che Gaspare e Zuzzurro non mi dispiacevano. Ricordo i pre-cena con “Emilio 90” all'epoca dei mondiali italiani, una comicità scemotta, se vogliamo, ma non volgare, a misura di famiglia.
Il secondo motivo è l'età: sarà che, invecchiando, la morte di un nemmeno settantenne inizia a farti pensare... mah!?
Il terzo motivo era la coppia. Pensavo: ma ora che farà il povero Gaspare, quello di Gaspare e Zuzzurro?
Continuerà a chiamarsi Gaspare? Continuerà a fare il comico? Come si reinventerà la sua carriera, la sua vita?
Così mi veniva un parallelo, no? Di quanto siamo abituati a concepire anche la nostra vita cercando di semplificare gli schemi.
Perché gli amici sei abituato a chiamarli a due a due, da un certo punto della vita in poi, avvicinando i nomi così tanto da farli diventare uno solo: AleeGiorgio. A volte semplifichi al punto tale che con il nome di uno al plurale li nomini entrambi: i Luigini, i Marti, i Claudi.
Noi siamo i Tani, per gli amici del mio paese.
Così, venerdì scorso pensavo alle persone che si separano, no? Che ad un certo punto non li puoi più chiamare al plurale. Loro non possono più chiamarsi al plurale.
Allora forse varrebbe la pena cercare di non farlo, un po' come si dovrebbe fare con i gemelli. Che lo sanno tutti che non si possono chiamare “i gemelli”, ma che andrebbero distinti, per favorire la crescita e l'identificazione.
Lo stesso per la coppia, almeno credo: facciamo tanto parlare di mantenere la propria identità, non snaturarsi, tenersi anche degli spazi, dei tempi per poi cadere sull'ABC.
Forse mantenerci ben identificati ci aiuterà, quando non saremo più in due (è triste, ma prima o poi capiterà). Forse no, perché non è solo questo, chiaramente.
Insomma io volevo anche svilupparla meglio, venerdì, sta cosa, ma poi avevo anche voglia di ridere ed allora ho rimandato. Poi è morto Lou Reed ed è passato di moda parlare di Gaspare e Zuzzurro.

Che poi, chiariamoci, non ho nulla contro Perfect Day e neppure contro Lou Reed, che mi piaceva anche. Solo che io quella canzone me la ricordo stuprata da Pavarotti... Mi auguro che in Paradiso, o dovunque si trovano ora, siano vietati i duetti.

lunedì 28 ottobre 2013

Romagna mia

Le statistiche mi dicono che la stragrande maggioranza della gente che passa su Stratobabbo arriva da "Volevo fare la rockstar".
Oggi vi rimbalzo indietro; visto che la giornata è caruccia, sono andato a trovare Polly in Romagna.
E per quei quattro gatti che non la conoscono, andatevela a scoprire che è fior di ragazza e scrive come pochi davvero.

venerdì 25 ottobre 2013

Il metodo Scheggia


devo decidermi ad aggiornare il blog, non ho scusanti.
Il problema è che il periodo è caldo e fatico quasi a trovare il tempo per buttare giù le quattro acche che, due volte a settimana, vi aiutano nella vostra regolarità. Perché, caro lettore, a te ci tengo più che a me (cit.)
Però, insomma, mi sono reso conto che nella pagina di presentazioni i miei figli hanno ancora un anno in meno, la casa è ancora in costruzione ed invece non ci sono tutta una serie di gustosissime chicche che penso e mi dimentico, penso e mi dimentico e poi mi dimentico del tutto.
E pensavo che potrei metterci una pagina dove raduno le mie teorie strampalate ecchepperò, tante volte funzionano. Sia mai che, vendendole, non ci si faccia pure due soldi che non guasta mai.

Una di queste è il nuovissimo, rivoluzionario e infallibile “Metodo Scheggia”, da me in persona ideato.
Milioni di americani lo hanno già provato. Non è vero, gli americani se lo sognano, un metodo così. Che poi sta cosa che dovremmo comprare in massa una cosa che hanno comprato in massa gli americani me dovrebbero anche spiegare. Ad esempio il té verde che fa dimagrire. Io lo sto provando e sono giorni che scorreggio come un treno a vapore ingolfato. Sarà che non sono americano... mah?!

Ma torniamo al metodo Scheggia: avete problemi di tempo al mattino? Vi piace puntare la sveglia alle sette e mezza se iniziate a lavorare alle otto e dovete fare quindici chilometri in auto in mezzo al traffico?
Il primo figlio non vi ha fatto cambiare abitudine? Ah, neppure il secondo?
Beh, non vi gasate, a me neppure il terzo.
Come faccio?
Con il metodo scheggia, l'innovativo, rivoluz... eccetera eccetera.
Trattasi di metodo dalle profonde basi pedagogiche:
fate alzare i vostri figli,
coccolateli q.b.
Preparate la colazione con un sorriso che la famiglia del mulino bianco, a confronto, pare una comunità di depressi cronici.
Dategli tutto ciò che chiedono: latte, biscotti, polvere di cacao, l'altro tipo di frollino, la cannuccia, il cucchiaio grande, il cucchiaio piccolo, tutto, insomma.
Poi in bagno, dai, hop... s'è mai visto un supereroe che va a scuola senza fare la cacca?
No, lo so, amore che non ti scappa, ma intanto ti racconto tutta la storia di cappuccetto rosso nelle due versioni, quella con i sassi nella pancia del lupo e quella col cacciatore che spara.
Si, poi anche quella che il papà domenica mentre correva l'ha inseguito il lupo nero che ha preso anche un po' paura, il papà, mica il lupo”.
Ci si veste, “no amore, le magliette con disegnate le bambine sono tutte a lavare, questa ha la farfalla rosa, ti piacciono tanto le farfalle rosa no, Mary?”
Ma papi, io sono Giacomo”
Ah, scusa!”
Si sale in macchina, bacini e controbacini ai nonni, al cane ed ai pupazzi.

Se siete arrivati fino a qui e ancora non dubitate della mia integrità psichica, fatevi delle domande.
In ogni caso tutto il tempo che fino a qui avete perso si recupera da ora in poi.
Perché è qui che il metodo trova la sua risoluzione, il turnaround necessario per la riuscita di qualsiasi assolo.
Ragazzi, facciamo una roba scheggia?”
Siiiii!!!”

Risultato: 7 minuti netti dall'uscita dell'auto dal garage fino alla mia solitaria risalita dopo averli lasciati alla materna (a circa due km da casa).
Ed in mezzo sono pure riuscito a salutarli come si deve.

Perché la scheggia è ciò che li responsabilizza, che li fa sentire grandi, che li fanno prendere a cuore che il papà deve arrivare al lavoro in orario.
Ma papi, cos'è la scheg-ia?”
È una cosa velocissima che vola che nemmeno la vedi”
Di solito entra nel cervello di papà e gli fa trovare soluzioni che, almeno per qualche giorno, sembrano brillanti. 
 

lunedì 21 ottobre 2013

Non sono più buono a parlare italiano


Xè sempre più dificile, no?
Perché io una volta parlavo anca bene in italiano, par quello.
Accento forte finché te vuoi, ma parlavo proprio pulito.
Invece adesso, quando sono dietro a parlare, l'accento si tira dietro i termini e gli intercalare e anche le frasi intraducibili, che però le traducco istesso, no?
Credo sia parché al lavoro si parla solo dialeto. Credo! I ragazzi qui parlano dialeto. I colleghi parlano dialeto. Le riunioni, anche quele importanti, si fano parlando dialeto.
Non è mica facile sentirsi academici della crusca, se tutto intorno a te, oltre ad Ennio Doris, c'è gente che parla solo dialetto, sa?
Che qui in veneto, avrebbe deto mio nonno, la crusca serve solo par iutarte a 'ndare.
E così, eco, si infila dentro tuti i discorsi, diremo, gli intercalari, tipici, diremo, della parlata vicentina, diremo. E, go dito, tutte quei rafforzativi che di solito, go dito, si usano, go dito.
Par non palrare dele dopie che è proprio dificile sentirsele in testa e ti scapa di farle sbrissiare via, sensa baterle mai. Anche cantando. Anche in chiesa, che l'osana non ha la doppia s, semai la dopia a di Osaana.
E gli sbissioni appunto, su parole dialettali tradotte. Che si dice Sbrixion e lo traduci sbrissione ma mica lo sanno i foresti, che significa scivolone. E anche “amore, strucca il bottone” che sarebbe premi il pulsante, no?
E le zeta che son xeta, e le “a” larghe e le “o” strete.
O i refusi, tipo mi inaccorgo ora che non so più buono a parlare italiano, perché lo devo insegnare giusto ai piccoli, diremo. Ma come la imparano la lingua ste pore stele se il papà continua a svarionare che pare un pensionato che gioca a carte alle Acli di Cesuna nel 1935?
Che stemo qua a guardare i congiuntivi ma sarebe già qualcosa che mancassero solo quelli.
E, niente, dovrò concentrarmi di più, rileggere quelo che scrivo, pensare di più prima di aprire bocca.
Sono dietro a cercare di migliorare.

venerdì 18 ottobre 2013

Acido Acida


Che fine avranno fatto i Prozac+?
Vi ho mai parlato di questa mia fissa che purtroppo, grazie ad internet, è diventata una mania? Quella del “Che fine avrà fatto?” Ci passo le ore ad andare a vedere come e dove sono vissute persone famose o quasi dal momento che non lo sono più state.
Ma non ne parlo oggi, perché non era di questo che volevo parlare.
Ho detto poi che è una mania e non è neppure vero, no?
Il nostro linguaggio è pieno zeppo di termini che derivano dalla psicologia e la psichiatria usati alla CdC, ed ormai sono entrati nell'uso comune con significati anche molto diversi da quello originale: ho le manie, sei isterico, mi fai sclerare, eccetera.
Quando giocavo a calcio c'erano un paio di compagni di squadra che usavano “l'è down” per definire le persone con qualsiasi tipo di ritardo o menomazione fisica o mentale. A volte la usavano anche come offesa e ricordo un ragazzo, che la sindrome di Down ce l'aveva per davvero, che mi ha chiesto come mai quel tipo dicesse una cosa normale come se dovesse essere un'offesa. Trovava, giustamente, la cosa dissonante.
Non è una storia nuova, se pensiamo all'origine clinica delle parole imbecille, idiota o minorato.
Perché sto pippone sulla semantica (che non so bene cosa significhi ma mi pare che sia coerente usare ad cazzum un termine in questo post)?
Mah!?
Partivo dal fatto che la settimana mi ha fatto sclerare, forse. Per cui sono stato parecchio isterico e pure anche un po' Down.
Cioè gira sta voce che io sia proprio sensibile, coccolo e dolce, no?
Invece non è un cazzo vero.
Sono acido, inutilmente volgare, sottilmente velenoso, abusante di potere, stupratore psicologico, preconcetto, bacchettone, reazionario, superficiale, squalificante, aggressivo verbalmente, egocentrico, riduzionista dell'altrui problema, ipertroficamente egoico.
Nulla di nuovo in fondo. A parte che a volte sono felice di essere tutto questo e non è facile convivere con il proprio lato oscuro.
È la seduzione del male. O forse è solo venerdì.

lunedì 14 ottobre 2013

In un bosco fitto fitto


Ieri abbiamo fatto la prima escursione in montagna con tutti e tre i piccoli semoventi.
Non che noi si fosse degli sherpa nepalesi, prima di filiare, per carità. Però qualche giretto in montagna con gli amici, coronato dall'immancabile scrofolata al rifugio, era un appuntamento che se, sette volte all'anno non mancava.
Poi è venuta Marichan e, nemmeno il tempo di pensare di portarsela nello zaino, la gravidanza a letto e Pee e Jack. Con l'inconfutabile evidenza: ci sono più bimbi che schiene su cui portarli.
Niente, si attende che camminino.

È strano, no? Ho passato i primi tre anni della vita dei miei figli ad aspettare che crescessero per fare le cose che facevo prima: la camminata in montagna, la pizzeria, il cinema, i pomeriggi sul divano.
Non si tratta di rimpianto, sia chiaro, e nemmeno di voglia di fuga (chi fa la battuta che dio lo beneduca), di desiderio di rifugiarsi in un passato più spensierato. Semplicemente ti mancano delle cose, no?
Allora tu ti aspetti la camminata in montagna ma quando gli amici ti chiamano per andare non puoi mica dire si, a che ora? Come facevi una volta. Devi dire: ma ce la fanno i bimbi?
Poi li devi sbrandare all'alba, e si inrospano, e così una giornata allegra in montagna inizia come il peggior lunedì all'asilo.
Per uno che si decide ad andare in bagno ne hai due che saltano già sul divano, alle sette di mattina. Per uno che riesci a calzare, ne hai due che si tolgono le scarpe e si rifiondano sul divano.
Sono tre e non sono mai tutti e tre d'accordo. A meno che non si tratti di cose che non vuoi fare tu.
C'è sempre almeno uno, a turno, che dice: Io voglio stare a casa.
Invece poi le cose si sistemano e tu ti fai la tua bella escursione, un po' adattata nel percorso, ma è già bello così. Sul sentiero racconti la storia dell'orso, del lupo e di qualsiasi altro essere peloso e loro se la camminano di gusto alla ricerca della casa della nonna di cappuccetto, della capanna del cacciatore o della grotta.
E poi l'immancabile mangiata, dove partecipano, buoni come non mai, e tu dici, ecco, vedi? Tornerà tutto come prima, ci divertiremo assieme, in primavera il Summano e l'anno prossimo le gallerie del Pasubio.
Ed è proprio lì, tornando felice, che ti viene l'illuminazione, capite?
Mentre sei stanco morto e non vedi altro che la doccia, il divano, la copertina, magari una coccola ed un buon film in tv. Che loro sono ancora lì, che sono stanchi morti e probabilmente daranno di matto.
Voglio dire: c'è da gustarsi il momento e nulla più. E lavorare sulla frequenza e non sulla durata.
 "Papi, ma là in fondo c'è il mare?"

venerdì 11 ottobre 2013

La Sindrome del Loggione


C'è questo grande loggione che dà sulla piscina, no?
Io c'ho passato dieci anni della mia vita, dall'altra parte di quel vetro, ad insegnare. Che, a dire il vero, non c'era nemmeno il vetro, quando ho iniziato a lavorarci io. E ne son passati 13 anni, a non stare ne di qua ne di là.
Va beh, ma non importa non è degli anni che passano che volevo parlare.

I bimbi hanno iniziato il corso nuoto, no?
Così, dopo averli pisciati, cambiati e cuffiati si sale su questo terrazzone vetrato, al riparo dal caldo e dai rumori e si guarda dall'alto il mondo sottostante.
Una volta si facevano dieci minuti di ginnastica iniziale, dopo di che mandavano via i genitori che potevano andare a sfondarsi di paste alla crema in Corso Palladio fino a cinque minuti dalla fine della lezione.
Invece adesso stanno tutti lì, a fissare il mondo da un oblò di svariati metri quadri.
Io, combattuto tra la consapevolezza che si stava meglio quando si stava peggio e la paura che i miei figli possano crescere traumatizzati che il loro sia l'unico genitore che non sta lì a guardarli, scelgo l'insulsa via di mezzo: mi siedo e sbircio di tanto in tanto.
Provo a leggere ed ascolto i discorsi degli altri. C'è un papà che sta provolandoci con una giovane mamma. Discreto nell'approccio, a dire il vero: parla di figli ed impegni genitoriali vari. Ma io sono padre e so cosa gli passa per la testa, ti ho sgamato vecchio mio.
Poi c'è un capannello di mamme assortite che sgureggiano alla grande su acquaticità, didattica sportiva e caratteristiche che un docente deve avere per essere il miglior motivatore possibile: “Ma secondo me sono in troppi, con quella maestra”, “Ma non sarà troppo giovane?” “Ma non sarà troppo vecchia?” “Ma l'acqua sarà troppo fredda o troppo calda?” “Ma perché hanno messo mia figlia in quella corsia che lei è abituata a stare nell'altra?” “Ma non sarà presto per togliere i braccioli?” “Ma sarà vero che se fanno la pipì in acqua viene fuori una macchia rossa?” “Ma se guardo il ragazzo che mi piace in piscina, rimango incinta?”
E ansia a chili. Quasi che il corso sia una misura salvavita, che se non lo fai fare il bimbo ti muore.
E pensavo che, in fondo, quello che ci riesce meglio: stare su, dietro al vetro, al riparo dagli schizzi e dal caldo umido della vasca, a guardare gli altri lavorare e proiettare sugli altri le nostre debolezze, le nostre difficoltà.
Senza risolvere la paura più grande, che è quella di lasciarli là a divertirsi e di prenderci il tempo che ci serve per andarsi a sfondare di paste alla crema. 
 

mercoledì 9 ottobre 2013

Il blogger oscuro - il ritorno #strettchaps



Stamattina accendo il pc e trovo una sorpresa: Stratobabbo è stato rimosso.

Respiro. Smarrimento. Panico.

È durata qualche minuto, forse più di quanto meritasse.

A ben guardare non funiona nulla che sia collegato a Google: la posta, blogger, google+

Lo scrivo su Facebook, come sempre senza essere chiaro, a metà via fra la battuta e l'allarme. Che poi io se sono preoccupato aumento in modo significativo le battute.

Non risponde nessuno per parecchio tempo.

Nel frattempo un paio di amici mi mandano dei messaggi allarmati: non ci sei più.

Non ho, in ogni caso, il tempo per starci dietro e decido di lasciare sedimentare il tutto, compreso il mio allarme.

Non posso lavorare ma ogni tanto do un'occhiata per vedere se sia un problema solo mio.

Tutto tace.

Gmail mi dice che devo dimostrare di avere più di 13 anni o eliminano tutto.

Va ben, non è difficile, per quello. Non è chiaro se riavrò Stratobabbo come prima.

Tutto tace, a parte una webfriend che mi offre aiuto. Gradito, molto.

Forte no?

Mi veniva un parallelismo, fatte le dovute proporzioni (perché diciamolo che queste qua sono cazzate): su quante persone possiamo contare, in generale, su qualsiasi piattaforma ci troviamo, sia essa virtuale o reale?

Molto poche in fondo. Anche se abbiamo 2000 “amici” su facebook o 3000 numeri in rubrica

Vuoi perché c'è un gran casino e non si sente (o non si legge), vuoi perché un conto è passarsi le serate a ridere ma guardarci negli occhi nella difficoltà è più tosta, vuoi perché “scusa non c'ero”, ci sono mille scusanti, spesso valide, anche.

Ed avevo solo voglia di tornare a casa ad abbracciare Silver (che su facebook non c'è) e coccolarmi i bambini e, finché lo pensavo, realizzavo che non è vero che “non c'ero più”, ero semplicemente come Tony Stark alla fine di Iron Man 3 (attenzione spoiler): senza armature ma pronto a dire ancora “Io sono Iron Man”.

Non è il blog che fa di me El_Gae, sono io che do l'anima a Stratobabbo.

Potevo anche farne senza o pensare di ripartire da capo. 
Così che, quando finalmente anche Google si è ricordato che di anni ne ho quasi 40, quasi mi dispiaceva dover rinunciare a provarci. 
 

lunedì 7 ottobre 2013

Luna


Ho la Luna.
Io non so se si usa solo in Veneto questo modo di dire: “Avere la Luna”.
È tra l'altro intraducibile, per come la intendo io.
Sta ad indicare quel misto tra magone, insofferenza, inizio di depressione e voglia di litigare con qualcuno. Che finisce che non fai niente.
Ieri sera ne parlavamo con Silver e si giungeva alla conclusione che il Lunedì è spesso causa di Lune. Magari è prorpio per questo che si chiama Luna. Anche se è facile che ti venga di Domenica.
Ieri dovevo partecipare alla Superpippo e già sapevo che non potevo farla.
Dovevo però andarci Sabato, anche se in forma “privata”, ma non ho trovato anima che mi accompagnasse. Subito avevo pensato di corrermela da solo ma me lo hanno sconsigliato tutti. Proprio tutti, nessuno escluso.
Guarda che se ti perdi o cadi e ti rompi qualche cosa ti trovano il giorno dopo quelli della gara”.
E così, in realtà, la Luna ce l'avevo già da Venerdì. Crescente.
Ero così girato che sabato ho fatto una cosa che non avrei mai pensato: sono andato a correre sotto la pioggia.
Correre sotto la pioggia non è male. Il brutto è fermarsi, soprattutto se fa freddo.
I rivoletti d'acqua che ti corrono giù per il corpo sono alquanto sgradevoli. Particolarmente quelli in faccia ed in mezzo alle chiappe. 
 
Al posto della SPippo una gustosissima messa di un'ora e tre quarti dove, almeno, abbiamo suonato e cantato bene. Non si fa per la gloria né per i soldi, oh, ma manco un grazie. 
Sto pensando all'ateismo. Anche per comodità.  
Ormai eravamo ai tre quarti di Luna. 
 
Oltretutto ieri sera finiva la quarta serie di Dexter, a detta di tutti l'ultima degna di nota, i bimbi si sono addormentati tardi ed un pezzo ce lo siamo pure persi.
E poi finisce demmerda. Ma demmerda demmerda. Da restarci secchi proprio. Che ti fa passare la voglia di vedere le prossime, non fosse altro che vuoi vedere quanto schifo fanno, visto che lo dicono tutti.
Così la Luna è aumentata. Ha fatto il colmo, diciamo.
E va beh! Adesso dovrebbe inevitabilmente calare, no?
Ieri sera i bimbi parlavano già di regali di Natale. “Al papà Babbo porta la roba da correre” ha detto Jack.
Runners di tutto il mondo: fatevi pure i vostri personal best!
A me basta questo per sentirmi un corridore.



Ah, ma non ci riuncio mica. Alla Superpippo, dico.
Andrò a farmela uno dei prossimi week end, c'ho già dei volontari.

giovedì 3 ottobre 2013

Superpippa

Quale stupido giochino di parole vi viene se vi dico Superpippo?
Non vale ve l'ho già detto io.
Ma nessuno o pochi di voi sanno cosa sia la Superpippo.
In realtà il nome completo è Superpippo Sarapache. Si legge come si scrive, anche se sarebbe bella la pronuncia all'americana, tipo Fort Apache, no?
Apasc. O Apaci, come sarebbe corretto.
Tant'è, ve la presento.
È questa

Trattasi di gara in salita. 1500 metri di dislivello in circa 11 chilometri. Aggiungeteci che i primi tre chilometri sono facili e per differenza immaginate cosa sono gli altri otto.
Qui in provincia di Vicenza quasi nessuno sa di cosa si tratti di preciso ma tutti l'hanno sentita nominare almeno una volta.
Di solito è associata ad imprese da superatleti, di quelli che non solo sono magretti e belli tosti ma pure dei convintoni esagerati.
E tu che centri, direte voi?
Niente. In effetti.
Solo che l'amico Franz l'ha buttata là a mo' di battuta in primavera e poi abbiamo pure iniziato a crederci.
Così è qualche mese che ci si allena in salita con una discreta costanza.
Chiederete, o forse no: ma sarai dimagrito tantissimo, no?
No
Quasi nulla.
Però mangio con meno senso di colpa.

Poi non ci posso neppure andare alla Superpippo, perché è saltato fuori uno che parla male delle chitarre ed io devo andare a strangolarlo con una corda di ferro.

Però mi rompe non andarci a 'sta Superpippo, no?
Allora che faccio: diramo un comunicato a tutti gli amici sportivetti e gli chiedo se vengono con me Sabato invece che domenica.
Certo non sarà la stessa cosa. Ma è meglio di non farla proprio, credo. 
Oh, plebiscitario accordo.
Sul no.
Ma ho ancora un paio di speranze.
La farò, sono fiducioso.
Quindi può darsi che muoio. E questo sarebbe il mio ultimo post.
Certo, sarebbe un gran bel ultimo post di merda.