Ci
sono cose che ti prendono a tradimento, nel bel mezzo di una
spolverata al mobile della sala.
Cioè,
tu sei lì, straccio alla mano e spruss spruss nell'altra, hai
appena controllato che i bimbi in giardino non si stiano sepellendo
vivi a vicenda con il badile di ferro che l'amorevole nonno ha
confezionato ad hoc, o che non si siano attaccati l'uno con altro per
le caviglie al trattore a pedali, per girare trionfalmente attorno
alla casa come il pieveloce Achille con il prode Ettore e ti metti un
disco nello stereo.
De
Andrè, no. Serve roba energetica
I
Gang, no. Per oggi niente impegno sociale
I
Modena, uhm, i bimbi già te li fanno sciroppare in macchina.
Guccini,
per carità.
Testa,
Conte, Fossati? No no, stiamo spolverando, non voliamo troppo alti.
Passiamo
alla sessione anglosassone:
Pink
Floyd, Dire Straits, non c'ho voglia, troppo complicati.
Rolling
Stones... quasi quasi
Clapton.
Eric
Calpton is God, scrivevano sui muri di Londra negli anni settanta.
Ci
sono poche cose che ti fanno vincere la pigrizia e preparti tutto il
set Fender come la musica del vecchio Slow hand.
Ma
tu stai spolverando e canti a squarciagola (vivere in campagna ha i
suoi porci vantaggi).
Finchè,
ad un certo punto, finchè ti accanisci su di un alone del
microonde.. Would you know my name, if I saw you in heaven? Would
you be the same?
Ricordo
quand'è uscita, poco tempo dopo la morte del figlio; avevo trovato
un po' eccessivo un tale successo legato ad una disgrazia così
grande. Ed un po' mi era scaduto, il vecchio Eric, dopo quel
bellissimo disco acustico. Eppure il pezzo è così perfetto, così
incredibilmente riuscito.
Dice
Igor Salomone che la felicità della genitorialità è solo parziale
perché ti fa scoprire cos'è il terrore della perdita.
Ha
fatto quello che sapeva fare ManoLenta per buttare fuori il più
grande dolore che può capitare ad un padre. Ma non ha fatto solo
questo.
Non
è solo la morte del figlio che ci allontana da lui. Potrebbe essere
la nostra morte ed il pensiero, terribile, di cosa accadrà loro
dopo, senza di noi.
Ed
è anche la paura di sbagliare, di farli scappare da noi.
È
la paura che per i nostri figli, un giorno, non saremo nulla o,
peggio, un peso o un brutto ricordo.
È
la paura che non ci riconoscano, che si voltino dall'altra parte e,
quando finalmente avremmo noi bisogno di loro, se ne siano andati.
“È
molto bella questa canzone, papy”.
“Si,
Mary, è molto bella” le rispondo fissando i miei occhi lucidi sul
vetro del forno.
“Gioca
fuori con i tuoi fratelli, dopo il papà te la suona con la chitarra”