lunedì 30 marzo 2015

La Notte al Museo

Penso che i figli spesso sono un bel alibi.
Per me, almeno. Io sono pigro e sedentario e non mi muoverei mai di casa. Salvo qualche scatto di orgoglio, anche tardivo, non avrei difficoltà ad immaginarmi come gli umani del film Wall-E: grassi ed inoperosi ed iperfacilitati dalla tecnologia.
Chiaro che l'arrivo di tre figli ti metta nella condizione di non muoverti, almeno per un po' di tempo. Solo che poi ti abitui e l'abitudine è sempre un pericolo.
Così ti trovi a passare le domeniche a casa, senza nemmeno il conforto di 90° minuto, che il calcio ormai lo seguo pochissimo e i bimbi non lo vogliono guardare perché parlano troppo. E, tra parentesi, se quando ero piccolo i programmi sportivi fossero stati i talk show di ora, probabilmente non li avrei mai mai guardati neppure io.
Silver che stira, io che cucino e i bimbi che si annoiano o litigano. E fu sera e fu mattina. 
Ma per fotuna si lavora e il lavoro ti consente dei diversivi. Nel senso che talvolta chiede di lavorare anche il sabato e la domenica.
Cheppalle, potreste dire.
Infatti lo diciamo.
Però poi ci viene un'idea, facciamo come le arti marziali giapponesi che prendono la forza dall'attaco dell'avversario e la tramutano in un contrattacco efficace: perché non andiamo tutti al lavoro con mamma? Lei entra, fa quello che deve fare e poi ce la andiamo a riprendere e mangiamo qualche cosa in giro. Nel frattempo ci facciamo un giretto da qualche parte, un parco giochi, un chennesò.
"Uffa, voglio stare con i nonni!"
"Ma come con i nonni? Per una volta che proponiamo qualche cosa di diverso?"
"Io non vengo"
"Io voglio andare dai cugini"
Vabbè, l'adolescenza ribelle è alle porte, lo abbiamo capito. E non hanno ancora sei anni.
Comunque alla fine abbiamo visto i castelli di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore. La storia l'ho molto asciugata e per una mezz'ora ho parlato di Giulietta davanti al castello di Romeo ma i ragazzetti paiono essersi goduti il tutto.
"Papà, corriamo giù per  il sentiero"
(Grande Jack, questo è il figlio che voglio, cuore de papà)
"Ehm, siamo vestiti bene, facciamo che ci torniamo vestiti da corsa e ci infanghiamo come si deve".
Poi pomeriggio con il colpo di matto: andiamo a vedere la mostra di Van Gogh in Basilica Palladiana.
"Ma qui è dove si corre la Ultrabericus"
Ecco, forse è proprio il caso di portarli a vedere la mostra, così si fanno una cultura anche al di fuori delle ossessioni di loro padre.
Uno dice: portate tre bimbi in età prescolare in un museo? Siete matti.
Invece sono stati bravissimi. E, hanno detto i nostri amici: "Si abituano a frequentare anche dei luoghi culturali fin da piccoli".
Io manco ci avevo pensato. Credevo di introdurli come un corpo estraneo e dover addomesticarli a caramelle (di cui ero fornitissimo) fino all'uscita.
Invece li vedevo girare con queste cuffiette ed il ricevitore in mano, ad ascoltare la storia di Van Gogh (che di VG ce c'erano due, per inciso) e Caravaggio e vederli affascinati dalla Venezia di Monet (a Venezia c'è la maratona, arridaje) e dalla New York di Hopper (a New York ci sono gli Avengers).
Chissà cosa avranno capito, visto che alcune cose ho fatto fatica a comprenderle io. 
E d'improvviso li ho visti grandi, in un museo qualsiasi, assorti nei loro pensieri di ragazzi, o di giovani, a cercare il loro senso delle cose o semplicemente a sperare un bacio in una gita scolastica. E mi sono preso un momento per esserne fiero, così, a credito, che poi nella vita non si sa mai.

venerdì 27 marzo 2015

Dovunque vada (con i figli in macchina)


Maybe I'm bound to wander
Ma la mamma è già arrivata a casa?” 
From one place to the next
Si, penso di si, quando arriviamo vediamo”
Heaven knows why
Arriva sempre tardi”
But in the wild blue yonder
Non è vero che arriva sempre tardi. E comunque la settimana scorsa siamo arrivati presto e vi siete lamentati perché volevate giocare ancora con i cuginetti”
Your star is fixed in my sky
Ho visto un trattore Fendt” Io no, papi, torna indietro”
Just another bar at a crossroads
“Non esiste, dai che dobbiamo tornare a casa”
So far from home
“Uffa, non è giusto! I trattori sono sempre dalla parte di Pietro”
But that's alright
“Ma non è vero!”
Whenever I'm going down a dark road
“Uffa, ma quando diventa verde 'sto semaforo?”
I don't feel alone in the night
“Che bella questa chitarra! Sei tu che suoni papà?”
There's a place in my heart
Uh! No, tesoro, questo è Mark Knopfler. È il mio chitarrista preferito, bravo vero?”
Though we're far apart
È bellissima”
May you always know
Hai ottimi gusti, Mary”
No matter how long since I saw you
E la ragazza ha una voce bellissima”
I'll keep a flame there for you
Bellissima, si”
 
Wherever I go

“Guarda! C'è un signore con l'aspirapolvere in quella casa”

mercoledì 25 marzo 2015

Il Piano. Piano


Mi rendo conto sempre di più di quanto la corsa sia una metafora della vita.
Bella scoperta, potreste dirmi, lo hanno detto tutti da cento anni a questa parte. Vabbè, oh, meglio uno in più che uno in meno, dico io.
In realtà io non sono neppure sicuro che sia proprio così, perché alle volte, penso, si corre un po' come si vive.
Io ad esempio non ho tante pretese ma, nello stesso tempo, mi piace sapere, conoscere e prepararmi a certi eventi. E lo faccio sia nella corsa sia nella vita con un pelino di pressapochismo che aiuta i miei amici a sopportarmi ed i miei colleghi a deterstarmi, probabilmente. Oltre che dà qualche motivo a Silver per incazzarsi di tanto in tanto, sennò, in tutta questa perfezione di uomo, poraccia... vabbè, cambiamo discorso.
Ad esempio non ci sarebbe stato male un post sulla festa del papà. Ma non ci sono arrivato.
Avevo anche in mente qualcosa per la giornata della Sindrome di Down. Ma ho cannato pure quell'appuntamento.
Così mi ritrovo a scrivere un post demmerda in pausa pranzo, come ai tempi d'oro, quando scrivevo un sacco di postdemmerda pur di scrivere qualche cosa. Ora invece non mi sforzo più di tanto e li scrivo demmerda solo quando mi vengono.
Ma torniamo alla vita metafora della corsa o viceversa: dopo una gara serve il recupero. Così come nella vita, dopo un appuntamento importante serve il riposo.
A me, più che il riposo riposo, piace il riposo attivo: ci si dedica alle attività che fino a quel momento, causa scadenza importante, si è trascurato.
Sono le classiche giornate in cui vai al lavoro convinto di non avere nulla di urgente da fare e potrai dedicarti ai grandi progetti nel cassetto e, già che ci sei, anche ad una maggiore attenzione verso gli altri. Così ascolti ogni paturnia con empatia e arrivi a sera che non hai combinato un cazzo se non aver girato come una trottola per otto ore.
A casa è quasi la stessa cosa, per quanto la parola «riposo» mal si adatti alla mia situazione familiare.
Però nella corsa, passata l'esaltazione da Ultratrail, volevo dedicare qualche uscita a quello che chiamo il «Piano piano». Ho fatto tanta salita in questi mesi? E allora pianura (da cui il piano). Hai corso come un forsennato sfondandoti di ripetute, progressivi, scatti? E allora rimo lento (da cui il secondo piano).
Senza volerlo è diventato un mantra. Piano piano, senza grandi obiettivi.
L'ho fatto una volta e già mi sono rotto le balle.
Serve a questo, il piano piano, nella corsa come sul lavoro o nella vita: a capire che ci sentiamo più vivi di corsa e che, se riposo deve essere, lo sia dopo giornate esaltanti.

martedì 17 marzo 2015

Carne Greva

Esiste la parola carne greva in italiano?
Perché non la so.
O meglio: da piccoli, quando il dialetto regnava sovrano (lo dico come costatazione, non come rimpianto), era la principale spiegazione a qualsiasi male andavamo a dire a nostra madre: "Te gavarè un fià de carne greva" (avrai un po' di ???). L'alternativa era il do'oreto intercostae, se il malanno era localizzato al torace, on deo incalcà se ti faceva male un dito del piede e on rabigolo se avevi un principio di congiuntivite. Non si sfuggiva.
Ma torniamo alla carne greva.
La carne greva è quel dolore muscolare che ti viene nei giorni successivi ad un sforzo intenso. Di solito è tipico del dopo prima lezione di nuoto, primo allenamento di calcio o di un lunedì post lungo/gara per un runner.
Quando ci mandarono a scuola a Vicenza capimmo che non la potevamo più chiamare Carne Greva o non avremmo mai limonato con nessuna, bollati per sempre come campagnoli, così ci dissero che si doveva dire acido lattico.
Ma non è vero; l'acido l'attico scompare dopo qualche ora dallo sforzo fisico.
Adesso, se vuoi tirartela ma non farti capire da nessuno, lo puoi chiamare D.O.M.S. (Delayed Onset Muscle Soreness) ossia dolore muscolare ad insorgenza ritardata, ma non c'è nessuna definizione che porti con sé l'immediatezza di carne greva.

Comunque. Sabato c'è stata la Ultrabericus e sono ancora vivo. Ci contavo.
Ne parlo qui con racconto e foto in cui sono anche venuto benino, non ve le fate scappare.

Sapevo però che da domenica, altro che DOMS. Ma, anche durante la corsa, il pensiero era uno: non basta arrivare, bisogna essere anche in grado di passare la domenica con i figli.

Ora, voi cosa programmereste per la domenica se sapeste che sarete quasi incapaci di camminare?

Beh, io ho fatto il colpo di teatro: andiamo tutti al cinema.
Si, certo, c'è questo dettaglio che in centro non si parcheggia vicino, ma a conti fatti, una volta scesi dalla macchina, il passo è meglio del previsto. Poi però hai due ore (diconsi 2) seduto, con i figli buoni buoni.
L'idea non era così strampalata, visto che non sono stato l'unico ultraberico a metterla in atto.

E devo dire che è andata come avevo previsto: due ore di assoluto piacere. I bimbi, prima volta al cinema, per loro, sono stati bravissimi anche se il nuovissimo Cenerentola, secondo me, ha delle sfumature che vengono colte più dai genitori che dai figli.
Peccato ci fossero pochi padri, anche, per i motivi che vi spiega Silvia Tropea in questo articolo qui e perché sarebbe anche ora di finirla con tutta questa distinzione pneumatica dei generi. Ci sono dei pezzi in cui mi sono commosso e non mi vergogno a dirlo. E, mamme, tranquille, alla fine il principe non scappa con il capitano delle guardie, anche se lo avrei sperato.
Il finale era un po' scontato, in effetti.
E sulla distinzione dei generi non avrei altro da dire, se non che Marichan uscendo ha detto: la prossima volta veniamo a vedere gli Avengers.
Fate i bravi e statemi bene. 

venerdì 13 marzo 2015

Vigilia

‭La prima volta che ho sentito parlare della Ultrabericus era settembre 2013.
‭Con l'amico Franz si aveva in programma e ci si stava allenando per la Superpippo: 11 km e 1000 mt D+. Eravamo all'incrocio tra via Conventino e Via Lovara, ricordo a fare stretching, e lui mi disse che il suo vicino americano gli aveva chiesto se si stesse allenando per la Ultrabaeraicus.
‭Stop.
‭Al tempo si facevano uscite di si e no 7-8 km in pianura, stavo leggendo «Born tu Run», avevo le mie nuovissime scarpette minimaliste e nessuna idea di cosa significasse «d+».
‭Ma la mente, si sa, fa viaggi strani e anche se in quel momento ci sembrava improbabile, ogni domenica le fantasie di corsa si susseguivano. Il sogno del Franz era (ed è) correre la Trans d'Havet, 40 km sulla cresta delle prealpi vicentine.
‭«Guarda Franz che la TDH è 80 km»
‭«No! C'è la versione corta, da 40«
‭«Per le versioni corte, nemmeno mi vesto»
‭E via così, a scherzarci sopra.
‭Come si sia arrivati in un anno e mezzo dai messaggi del tipo «tosi, dai, domani almeno 9 km» ad iscriverci alla Utrabericus, 65 km 2500 metri di dislivello positivo, ad essere sincero, me lo sono perso un po' per strada.
‭La vita va così, senza fare scelte troppo marcate o proclami. Per lo meno la mia; capita che ti iscrivi alla maratona e parti sempre prima ad allenarti, per non tornare troppo tardi. Poi un week end cambiano l'ora e ti ritrovi alle 6, ma è come se fossero state le 5, allora capisci che anche le 5 sarebbe possibile, una volta andati a regime.
‭E quello diventa il tuo orario. Ed un'uscitina in compagnia, senza troppi patemi, la fai di quasi 20 km collinari.
‭E allunghi sempre di più e si aggiunge sempre più gente.
‭E così domani ci scarpineremo questi 65 (o 66, beato chi lo sa davvero) km tutti attorno ai Colli Berici.
Da un paio di settimane viviamo d'attesa, a gestire quella strana sensazione di forma smagliante ma da gestire con il freno tirato, per non esagerare, per non rompersi. È una delle emozioni belle del fare sport, questa dell'attesa, assieme a quella che si vive prima dello start e poi, se il cielo vuole, quando tagli il traguardo. 
‭Cosa succerderà domani, se riuscirò a conservare almeno la funzionalità di un dito, ve lo racconterò nei prossimi giorni.

Nel frattempo, se ve le foste perse, c'è il nuovissimo blog Folgorante. Secondo me è molto bello. Non fosse altro che perché ci scrivo anche io. 

martedì 10 marzo 2015

Tormento


 "A fine marzo cambiano l'orario".
C'è una ragazza, qui dove lavoro, che non ripete altro dal primo giorno del mese. La stessa cosa succede ad ottobre, ovviamente.
‭Lo fa svariate volte al giorno, al punto che qualcuno ha proposto una raccolta firme per spostare il solstizio e l'equinozio (se non si può almeno il passaggio dell'ora) ai primi di marzo.
‭Ma non è di questo che volevo parlare.
‭Mi scappava di parlare dei tormentoni.
‭Negli ultimi giorni mi metto a ridere da solo quando penso a mio figlio Jack che dice: «Stasera mangiamo Cose buOOONEE».
‭Fa una faccia lunga, enfatica, e fa davvero sganasciare.
‭Così continuiamo a farglielo ripetere. E ride lui e ridiamo noi. Cercando di non trasformarlo in una scimmia ammaestrata (che per quello di solito ci sono zii e nonni).
‭Pensate che le mie nipoti, la più grande delle quali è in età da moroso già da un po', chiama ancora Iaia mia moglie. Perché ad un certo punto ha pure imparato a dirlo il nome della zia, ma tutti a dirle: «Ma non la chiami più Iaia, che era tanto bello?»
‭Poi uno dice che Zelig fa successo; te credo, che ungiamo tormentoni fin dalla più tenera età.

‭Poi a volte arrivano al limite dell'ossessivo compulsivo: «Hai già chiuso tutte le porte? Dopo mi vieni ancora a salutare, prima di andare a letto?»
‭Però si addormentano subito, da soli, alle 20,45.
‭Voi lo cambiate un rito così? Voglio dire, senza che ve lo dica uno psichiatra?
‭Perché, a pensarci, è quello che facciamo noi: controlliamo le porte prima di andare a letto, e passiamo a salutarli, ad assicurarci che respirino.
‭Lo sappiamo che respirano, non è che siamo in ansia. Ma ci fa dormire meglio passare ad accarezzare i loro capelli, a sistemare le coperte, a togliergli quel pulcioso cane di peluche sintetico che li fa sudare peggio che per la maratona.
‭E loro non possono fare lo stesso rito nostro, per cui chiedono a noi di farlo per loro.
‭E, so di averlo già detto, a me questa atmosfera piace un sacco: c'è silenzio, la luce soffusa. Controllo porte e finestre e ascolto il loro respiro. Soprattutto quando devo lavorare alla sera e torno che sono già a letto. Faccio il giro e sto bene: è il mio rito prima di dormire, la lucina che illumina la mia notte.

venerdì 6 marzo 2015

C'è tempo per questo mare infinito di gente

Togliere lo zero dietro al quattro alla mia età mi ha regalato una consapevolezza: il tempo è il bene più prezioso che abbiamo.
Pensavo, giusto ieri, che perdere tempo dovrebbe essere un reato; non nel senso che non si possa stare a poltrire sul divano, quanto che sia importante scegliere di poltrire sul divano, consapevoli che ci si sta ritagliando del tempo, per sé stessi, per il riposo.
Da qualche anno mi diverte la fantasia di dedicarmi il giorno del compleanno, salendo sul Summano da solo, in tutta tranquillità, mangiandomi un panino una volta in cima e, se il tempo atmosferico lo consente, riempirmi gli occhi del panorama.
Lo scorso anno, in effetti, le ferie me le sono prese ma sono stato a Venezia in treno con tutta la tribù. Forse il miglior compleanno della mia vita.
Quest'anno, complice la scadenza di un bando al lavoro, un corso di formazione a Padova (zona tangenziale, romantico, veh?) e il fatto che comunque la Ultrabericus è alle porte e salire il Summano una settimana prima significa fottersi le gambe, ho soprasseduto al proposito.
Ma non mi posso comunque lamentare: più di ottanta persone si sono presi la briga ed il tempo di farmi gli auguri su Facebook, Whatsapp, Messanger, qualcuno due volte, magari all'interno di gruppi diversi. Pensate che mi sono arrivati perfino i cari vecchi sms e, udite udite, addirittura qualche paleozoica e graditissima telefonata (du iu rimembah?)
E va bene va bene tutto; quei pochi secondi o qualche minuto dedicatemi sono belli e preziosi come il più infiocchettato dei regali.
In più hanno avuto il pregio di far scaricare il cellulare durante la giornata, così, al ritorno da Padova, invece di dover fare le solite pallosissime telefonate di lavoro, mi sono messo del buon rock a palla e me lo sono goduto fino a casa. Tempo regalato, anche quello.
Grazie a tutti. Davvero.

"è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano" (Ivano Fossati, C'è tempo)

martedì 3 marzo 2015

Tanti auguri a me

Ecco, esattamente a metà strada tra il compleanno di Stratobabbo, che è stato domenica, e quello mio, che sarà giovedì.
Quattro anni di blog e quarantuno di vita. Con questo quattro, così poco considerato dall'immaginario collettivo che ricorre in entrambe le occasioni.

Quattro anni fa, più o meno a quest'ora, era proprio martedì, mi sedevo al computer in attesa di una riunione e buttavo on-line il primo post. All'epoca sapevo già che non avrei parlato solo di paternità, non riesco a concentrarmi troppo a lungo su di una sola cosa, ma poi, quando qualcuno ha iniziato a notarmi, a leggermi, a considerarmi un papà blogger, un po' mi ci sono affezzionato all'idea.
Solo un po', però.
Perché è un po' come nella vita, quando hai figli piccoli ti trovi con gli amici e parli di figli piccoli. Quando cominciano a mangiare in fretta per andare a giocare con gli amici nell'altra stanza, non c'è più l'esigenza di confrontarsi su quasi nulla. E si ricomincia a parlare di film, di libri, di corsa e di musica. A volte si è talmente disinibiti da questa nuova indipendenza che si comincia perfino a parlare di sesso. Come facevano "i vecchi" quando ero piccolo, imbarazzandomi tantissimo.
Allo stesso modo Stratobabbo: non è un blog sulla paternità. È una sorta di diario che scrivo ormai solo per me; il mondo visto con gli occhi del padre. Perché non è più la stessa cosa vedere due ragazzi in bicicletta, ora che è quasi primavera.
Tanti auguri a me, quindi, e se dovessi diventare uno di quei "vecchi" che parlano di sesso a cena, in modo sguaiato in mezzo agli amici, abbattetemi a fucilate. Sarà il miglior regalo che potete farmi.