giovedì 18 giugno 2015

Quella volta che siamo andati noi da loro (2)

L'idea di Don Siro, padre giuseppino, regista delle missioni in Sierra Leone dall'Italia (per problemi di salute), non era quella di farci lavorare in Africa, ma quella di farci innamorare.
E proprio come con le scaramucce d'amore ci raccontò di tutte le crudeltà e delle fatiche di quei popoli. Del clima inclemente che è buono due mesi all'anno e poi o è un caldo torrido o è pioggia tropicale. Delle malattie: la malaria, in primis, diffusissima e facilissima da beccare, ma almeno non ti uccide, mentre ce ne sono tante altre che lo fanno senza problemi. Per non parlare dei parassiti che ti si incuneano sotto pelle, o degli animali velenosi che ti trovi a girare per casa.
Eppure ti capita di essere lì, in camera, a guardare fuori dalle zanzariere e a dire: "io qui ci rimarrei". E ancora adesso, a dieci anni di distanza, il solo pensiero di non esserci più tornato, di aver fatto così poco per loro, diffonde un senso di colpa nel cuore, come fosse il veleno del green mamba.

La seconda settimana l'abbiamo passata a Lunsar, nell'entroterra. Freetown è una metropoli africana. Lunsar è un villaggio in mezzo alla foresta. Nata negli anni sessanta/settanta, attorno alle miniere di rame della zona, la missione doveva servire a scolarizzare ed assistere le persone che, in cerca di lavoro, venivano ad abitare qui. Poi le miniere sono state chiuse e la piccola cittadina è rimasta.
Lunsar è l'Africa dei villaggi che si raggiungono solo con la Jeep, dopo ore di cervicali che urlano ad ogni buca. Lunsar è l'Africa della gente che gira svestita. "Se le persone girano nude significa che sono molto povere, la cultura in questo caso non c'entra" ci disse Father Mario, il prete cappellone che ci scorrazzava in giro.

"Quando tornerete non troverete molta gente che sarà contenta di ascoltare quello che volete raccontare", così ci salutarono i padri, prima di reimbarcarci su quel rottame a forma di traghetto che ci avrebbe riportato a Lungi.
Invece un po' ci hanno ascoltato, a dire il vero.
Forse il mondo, quassù, non è egoista come lo vedono da laggiù.
Me lo auguro anche in questi giorni, dove sarebbe importante recuperare umanità.

Ho provato a pensare a didascalie, a commenti. Ma il tempo stringe, e le foto, probabilmente, parlano da sole.





























la prima parte del racconto è qui

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