venerdì 25 marzo 2016

La passione

Sarà che sto invecchiando di brutto, ma a me la ritualità inizia a piacermi.
Prendete la religione: a me la religione piace un pochino rituale.
Silver dice che spesso è vuota ed inutile, la ritualità.
Si, dico io, ma magari se qualcuno ce la spiegasse.
Il simbolo è sempre servito a far capire. Poi è diventato fine a sé stesso, per trasformarsi in "abbiamo sempre fatto così".
E lì è la fine.
Perché l'"Abbiamo sempre fatto così" porta immediatamente dopo alla ribellione: "Adesso mi son stufato e cambiamo" e magari non si parte dal primo punto, cioè da qualcosa che abbia un senso (perché nessuno ha mai raccontato il senso originale) ma da qualche cosa che sia solo vuoto rito.

Poco male, non volevo parlare di riti.
Siamo nel triduo pasquale. A me il triduo pasquale riporta all'infanzia, inevitabilmente. Io, mio fratello e mio cugino facevamo i chierichetti in parrocchia. Il triduo era un tour de force.
Giovedì, il primo giorno di vacanza, non si dormiva. Esattamente come i due giorni sucessivi.
Sveglia alle 7, colazione veloce e via in chiesa per le prove.
Il vecchio don Luigi era uno che altro che ritualità: la celebrazione della Pasqua era una coreografia. Si provava tutta la messa almeno due volte. Ogni anno perfettamente uguale a quello precedente, ma non importava. Si provava comunque.
Uscite insieme candele alla mano, tu ti fermi qui, tu ti muovi a destra, cinque passi, guardarsi con la coda dell'occhio, non girate la testa, inchino insime e via, si sale sull'altare.
La messa veniva liofilizzata tipo:
Prima lettura (veniva solo detto così, non veniva letta), seduti, rendiamo grazie a dio, in piedi, alleluia, vangelo, omelia, seduti, fine omelia, in piedi. E noi via a continuare a sederci e ad alzarci che manco che ad una lezione di GAG.
Eppure non è mai stato un peso. Soprattutto quando eravamo più grandicelli, alle medie. Anzi, era una specie di festa tra eletti: a raccontarsi barzellette sconce in sagrestia, a bere di nascosto il vin santo, ad annusare l'incenso manco fosse marijuana.
Un lavoro facile, per Dio, nel mio caso, mantenere una fede che si basa su ricordi belli, di amici e spensieratezza.
In quel ricordo dolce, trovo il senso di questa ritualità e capisco, finalmente, i vecchi che si lamentano del cambiamento.

2 commenti:

  1. Il problema non è solo il simbolo, il problema è proprio il significato che c'è dietro, che rimanda a paccottiglia di 2000 anni fa, che diciamolo francamente, non è più utilizzabile come punto di riferimento per muoversi nel mondo attuale.
    Ciò che ci guida è lo Zeitgeist (alla quale la morale religiosa contribuisce solo in piccola parte) e non un testo di 2000 anni fa scritto male, tradotto, ritradotto peggio e sfrondato a cesoiate nei secoli e che racconta cose di cui nessuno degli autori è stato testimone diretto.

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  2. Sai che la ritualità diminuisce l'ansia... io lo capisco che sia rassicurante. Però al di là di quello come dice qui sopra Dave non trovo la necessità della religione, la legge morale deve essere in me (cit) senza che sia un dio a promulgarla.

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