martedì 1 marzo 2016

Lettera a Carnefice

Caro Carnefice, 
È passata qualche settimana dalla morte di Giulio Regeni eppure il pensiero mi turba ancora.
Di solito non mi succede; di solito in qualche giorno la notizia viene metabolizzata. Stavolta no, continuano a venirmi in mente quegli occhi buoni, nelle poche foto che girano, che potrebbero essere i miei di quindici anni fa o quelli dei miei figli fra vent'anni o poco più.
Non li hai visti così anche tu?
Volutamente ho cambiato canale, ho girato gli occhi, ho cercato di non leggere ogni volta che mi sono trovato davanti la ricostruzione della tortura, della violenza, così gratuita, così drammaticamente scontata nel portare solo alla morte.
Ed io non ci dormo di notte; io, al caldo del mio piumone, non riesco a fare a meno di pensare al suo papà e alla sua mamma, che magari hanno letto le stesse cose e sentono sulla loro carne viva la stessa scossa elettrica, la stessa lama di coltello, il legno della stessa mazza che picchia.
Non hai figli, tu, Carnefice?
Non hai genitori?
Un fratellino?
Quale odio ti porti dentro? Cos'hai visto nella tua, immagino finora breve vita, per non avere pietà di un ragazzo.
Non lo pensavi, mentre picchiavi, che se una persona la puoi uccidere tu, in fondo non può essere questa grande minaccia?
Di cosa avevi paura?
E anche se ne avevi, era Giulio il colpevole?
Oppure lo era James Foley, quando lo hai ucciso? O Vik Arrigoni quando lo hai strangolato? 
E sono settimane, sai Carnefice, che mi sforzo di non pensare da padre, di non lasciarmi trasportare dall'odio e dalla voglia di vendetta, che penso a quanto sarebbe invece importante venirti a cercare e capire l'origine di quel male.
Che da quel male forse potremmo capire tutto il male del mondo.
Ma tu, Carnefice, in qualcuno di quegli occhi, sei riuscito a vedere un po' di bene?
O hai solo riso e sghignazzato? Come quei bimbi che sadicamente uccidono le lucertole, consapevoli che non stanno rischiando nulla, che non capiscono che la forza vera non è la loro, non in quel momento. Eh?
Dimmi almeno questo, Carnefice, che non avevi capito, che ti sei accorto che hai sbagliato. Dimmi che anche tu non ci dormi di notte.
Dimmi che non lo farai mai ai miei figli, Carnefice, che mi sforzo di educarli al bene e alla giustizia, non lo ha fatto tuo padre, con te?
Dimmi qualcosa; qualcosa di tuo, però. A telecamere spente. 


2 commenti:

  1. MI è sparito il commento. Dicevo che anch'io continuo a pensarci e non sono genitore. Sandra

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  2. una storia allucinante... che va a sommarsi a quelle che hai citato

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